Grazie Annamaria

                                   

Grazie Annamaria

Un picccolo dono
per ringraziarti
per l’amore che metti
nel tuo lavoro.
Con le tue mani
trasmetti la passione
il grande  amore
per aiutare le persone
che soffrono.
Ti prego riunisci
gli antichi saggi
attraverso l’antica
arte del massaggio
metti tutta la tua forza
fai una grande magia
rendi l’autonomia
e fai sparire il dolore
a mia sorella Anna Maria.

franca bassi

Grazie Raffaele 2Grazie Raffaele 1

  Immagini donate da Raffaele Milite

Grazie

Questa mattina
il mio cielo era senza colore,
cercavo un po’ di luce,
cercavo un po’ d’amore.
Non riuscivo a guardare avanti
non riuscivo a trovare la mia primavera.
Guardavo fuori
dalla mia finestra solo cemento
e tanta tristezza.
La  malinconia stava seduta vicino a me
cercavo i mie  fiori cercavo i miei colori
mi chiedevo:
"dov’è il profumo della primavera?"
Sono andata nel mio bosco
una Ninfa  ha toccato le mie mani
ha messo sulla fronte gocce di  olio
e bacche profumate
ho chiuso gli occhi
la Ninfa come per magia
ha scacciato lontano la mia malinconia.
Il mio respiro si fa sempre più lento
poi rumore d’ acqua corrente
intorno profumo di fiori
nell’aria canto di uccelli
tutto mi lascia senza respiro.
Un folletto amico ha sentito
il mio richiamo
ha sentito il mio dolore
e mi ha donato  petali  profumati.
Adesso dalla mia finestra  vedo
l’immagini della la sua primavera
e i suoi stupendi fiori.

franca bassi

Ogni giorno che passa, mi rendo  conto, che in questo spazio che chiamano "virtuale",  ho trovato tanta comprensione  tanto amore e tanti amici. Grazie A Raffaele Milite che mi ha donato le sue bellissime immagini e a alla ninfa Zeli sono tornata a sorridere.

 

Kabul

GABBIANI2                                                                    Immagine di franca bassi "gabbiano"

kabul

I miei occhi di gabbiano
sono stanchi di vedere
tanto odio…tante guerre.
M’appaiono schegge
di luce azzurra,
bagliori di lampi gialli…poi rossi,
nelle orecchie un grande fragore,
poi il silenzio! una grande pace.
Una paura sottile  m’ avvolge,
stringo la mia vita e torno a dormire.
Un rumore sordo mi sveglia!
vedo come un film la mia vita.
Nel cielo torna il chiarore,
da dietro nuvole di fumo acre
silenziosa la luna appare
sull’antica torre,
sembra la luce di un faro amico,
che illumina con amore
lo specchio di mare
e aspetta  il ritormo dei suoi figli.
Prima di riposare le mie ali stanche,
ritrovo tra i pensieri
frammenti di volti  amici,
cuori spezzati dal dolore,
giovani sorrisi spenti appena nati.
Intorno un immane flagello.
Odo  ancora il pianto
di una giovane madre alla ricerca
di un figlio che non c’è più.
Provo nelle mie ali
dolore di carni strappate,
vedo nella polvere
brandelli di tela insanguinata,
solo una terra bagnata di lacrime amare.
Ricordo… per le strade polverose
il correre dei  bambini ormai soli
alla ricerca di una mano,
come  in un sogno li vedo mentre
vagano per i vicoli… corrono
dietro un aquilone colorato
diventato solo un gioco
di un sogno ormai strappato.
Cerco per le strade di Kabul
i frammenti di note di una  voce,
il volto di un amico che non c’è più!
Ma loro Vivranno per sempre dentro di me.

franca bassi

Er vernacolo de Roma

                                        

Immagine in rete

Er vernacolo dè Roma

Tanto dè cappello
a li sonetti der sor Belli.
Ma oggiggiòrno pe’ scrive
er  vernacolo romano
er Belli lo tròvo  arcaico.
mèjo li sonetti der sor Trilussa.
Ma oggiggiòrno
che  so ‘na girannolòna
drento  li vicoli de Roma
dò rètta  a le perzòne
che  parleno pe’ la strada
er vernacolo de quest’ epoca.
Me piace tanto ‘sto parlà fiorito
maricorda:
la panza de sor Ardo che girava
tra li banchi dè Campo dè Fiori
rivivo la figura de  Nannarella
mentre core dietro ‘na camionetta
e more pe’ corpa de la guera.
Passeno l’anni ma li ricordi so’ vivi
ve aricordate l’occhi smariti
der poro carbonaro "Gasperino"
co’ ‘na capa che sembrava
‘nu carciòfolo smarito?
E poi er grugno dispettoso de Arbertone
detto  "sor Marchese der Grillo"
do’ so finiti ? e chi se li  scorda!
Amichi mii ce vojo provà  anch’io
scusàteme  se sbajo tanto prima o poi
anche un’asino che raja a forza de  cantà
pò anna  a cantà ar treato dell’opera.

franca bassi

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Auguri!

img242  Immagine di franca bassi "San Giuseppe"

Ringrazio gli amici e tantissimi auguri a tutti i papà e a  i Giuseppe.

San Giuseppe

Tutti li regazzini de rione "Trionfale"
er giorno de la festa der Santo Patrono
giocàveno a nisconnarèllo
addiètro le bancarelle
in attesa de pijà ar  volo ‘na fritella.
Pe’ tutto er rione  fino a notte fonna
c’era ‘n’ odore d’ ojo fritto
e profumo bono de frittelle.
Li  frittellari  sembraveno giochojeri
co’ er fòngo bianco su la capa
‘na parannanza impataccata
co’ li  bastoni drénto quer pentolone
sverti  co’ granne maestria
giraveno giraveno le  sore frittelle
e tutti in coro cantaveno:
"frittelle…magnate ‘ste frittelle bone!"
sembraveno fattucchieri che uscìveno
da drénto ‘na nuvolata d’ojo  fritto
co’ ‘sti bastoncini appuntiti
svérti t’infilàveno ‘ste pore frittelle
un tuffo drénto ‘na cartata
de zucchero nòtaveno
pronte pe’ esse magnate
da un branco affamato de regazzini.
Era  bella la  festa der Santo Patrono!
noi la chiamavamo la festa de:
"San Giuseppe er frittellaro"
sverti co’ li sordi su le  mano p’acchiappà
l’urtima frittella calla e profumata.

franca bassi

Treatrino ar vicolo dell’Archetto

COPERTINA

 Cari amici dei blog, se oggi mi hanno premiato è solo grazie ai vostri commenti, perciò dobbiamo essere fieri ci hanno premiato! La Favola "Principessa Orchidea Cegliese" è stata  classificata nei primi cento posti al Campidoglio di Roma e ha preso in un’altro concorso il "1° premio". Il mondo dei blog non è un mondo virtuale, basta cercare e adoperare con parsimonia lo spazio, poi i risultati dei nostri sacrifici arrivano.

Ringrazio tutti gli amici dei blog che mi hanno ospitato e commentato e siete tanti 52.000 mila quasi in due anni, a chi mi ha  sostenuto, un ringraziamento speciale a: Pino Santoro, Giacomo Nigro, Anna Marinelli, Livia De Pietro, Pasquale Venerito, Damiano Leo, Pino Scaccia, Gabriella Pession, Sergio Assisi, Giuliana De Sio, Rossella Drudi, Carlo Menzinger,  il Comune di Roma, il Comune di Civita di Bagnoregio, il Comune di Ceglie Messapica, la Masseria Jazzo, l’associazione Passo di Terra, L’associazione Albero Andronico, L’associazione Marel, l’associazione storico culturale Piero Taruffi, e a tutti i gestori dei blog che mi hanno ospitato. Spero di non aver dimenticato nessuno. Continuiamo a scrivere, lasciamo i nostri  semi positivi sulla terra, sicuro che un giorno nasceranno dei fiori  e alberi bellissimi. Vi voglio bene. Franca Bassi  

                         Albero Andronico                                                  

Secondo concorso
ELENCO VINCITORI

                                              Marel  biblioteche di Roma
speciale_donna09

Sez. A : POESIA

I Premio: “Come un aquilone” di Antonia Civita (Venosa) Potenza

II Premio: “vita di strada “ di Eligio Petracca (Cese) Avezzano

III Premio: “Sei”  di Renato Cancedda Tripoli

 

Sez. B: NARRATIVA

I Premio: “La gita”  di Franca Bassi Roma

II Premio: “Vivere ancora”  di Rina D’Antonio Teramo

III Premio: “Lettera a mia madre”  di Rita Fais (Bonarcado) Cagliari

Amici, ho partecipato al terzo concorso in attesa di esito,  anche voi scrivete molto bene  perciò!  partecipate, scaricate i bandi siete ancora in tempo, e in bocca al lupo.franca

Tagghjate concorso

 

Adamo Eva 2

                                                            Immagine di franca bassi treatrino portatile

‘sto treatrino lo conòscete già, ma quello che scrivo, lo sto facenno, mò, pe’ voi. Mortìssimi anni addiètro domannài a un dottòre  da levà la ‘timidezza’. Me rispose: "Sora Franca, faccia treatro, reciti, parli co’ tante perzòne,  scriva e lègga a voce arta, l’aiuta." Sgranài l’occhi, presi còre e je rispòsi: "Ma dottò! aripèto: che so’ timida, che so’ tartajòna, che me vergogno, e me ordina da recità? Fòrze nu’ me so spiegata bene? e je aripèto: a Dottò… so’  timidaaaa, e tartajòna…!".Vojo ‘na medicina,  er dottòre co’ ‘na santa pacènza, co’ un risarèllo sur grugno, me aripète la medèma canzòna, "recità…recità, tanto la vita è tutta ‘na giòstra". ‘Gniggiòrno, me giràveno e rigiràveno ner ciarvèllo ‘ste parole, e me dicevo: "Mo, nu’ so solo  timida, ma me sento li fili ner ciarvèllo come se comìnceno a impiccià". Ereno belli, ‘sti fili colorati, e io co’ ‘na pacènza, li tiravo fori da ‘sta scatoletta, co’ delicatezza! piano …piano, uno a uno e con un ago,  je cucevo puro er vestivo, lo giravo pe’ le mani, lo guardavo je trovavo puro li difetti, e dietro a un siparietto le movevo, come le marionette der treatrino; je mettevo puro er nome, er primo  ch’ ariscappà fòra, era er filo,  quello più vicino, e  l’ho chiamato er  "Folletto Buzzichino", e poi quanti  Folletti, le Fate der bosco, li gabbiani, le gabbianelle, ‘na Principessa er Prencipe azzuro, la sora Nina, Romoletto, facevo parlà l’arberi, li fiori, le funtane, e nu’ la vojo fa’ troppo lònga, ma ‘na cosa era vera, me sentivo mejo, piano piano che er bannolo se sistemava, me sentivo proprio mejo, e me ripetevo: "Me sa che er dottòre c’ aveva puro ragione". Còcchi amichi mii, sto scritto è, er prorogo, poi in ‘sta sittimana , ce sarà la seguènza. Gràzzie, pe’ la vostra pacènza, e pe’ le belle parole che me rigalate, ve vojo bè.  

                                       Se apre er sipario.

                                       

  Immagine in rete                             
                                     Se Principià

                              "La sora Franca ciuca"

Co ‘no strillo drento ‘na càmmera de uriòne Prati nel 1938, è nata ‘na fijetta, è nata  "la sora Franca". Passeno du  anni, franca era  troppo ciuca, ‘na cratura, pe’  capì  che  era  quer fuggì… fuggì da Roma bella! C’era la guera. Chi  téla  su li monti, chi téla ne le campagne, chi  ne le grotte, e chi ne li rifuggi, questa era la  còrpa de la  "sora guera".
Franca  crésceva e nu’ intènne epperché dovéva dormì su  un’ ‘na cùccia fatta de canne er lenzolo  fatto de fòje de  granturco. La notte li grilli je cantàveno la ninna nanna. Era tutto un  giucarèllo, ruzzàva  accòsto ar fòsso impastàva la gréta e  zompettàva  co le ranocchie, ma era troppo pupa, pe’ capi  perchè l’omini s’ ammazzaveno.
Ogniggiorno a la  larga giù pe’ la valle de Civita, se  sentìveno li botti da lontano e su nonna la "sora Betta", je sviava er discorso e  je diceva: "Cocca nu’ ave pavura, è tu’ nonno che sta  in celo, che spacca le noci". Poi quanno vedeva che lo  sguardo  se fissàva vèrzo er celo, je riccontàva  de fate, de folletti, der Prèncipe azzuro, je  parlava  de li  fiori e  la prenneva  pe mano e la trascinava pe levaje la pavura e je diceva:"  "Vieni  cocca, guarda come so’ belli st’arberi, senti  l’ erba profumata ?" e lei dietro  sartellanno filice  j’annàva apprèsso e se sentiva  ‘na principéssa der bosco. Quanti inzògni drento  quer bosco de  castagni, sempre co l’occhi a cercà er sole, s’encantava quanno  vedeva l’ucèlli  volà, se sentiva ciuca…ciuca accòsto a quei giganti, quantereno gròssi  qell’arberi  pieni de foje, er celo se védeva a spicchi e li raggi der sole niscòsti giocàveno tra le foje, se sentìva bòna  tramèzzo a la natura bella.
                      

                                                         Se conitnuà …

                                                        Atto sicònno

La sora franca ancora ciuca  seguitava a giocà e su l’arberi de castagno s’arampicava, intorno c’era l’odore de mentuccia, de foije  secche e de  tera de castagni. L’arberi antichi nasconneveno la  casetta de pietra, l’asino ogni tanto annojato rajava e lei contenta  de vive ‘ne sto Paradiso felice lontano da la guera cresceva e  ‘na bella fija se faceva.
Passeno lenti  quell’anni, solo su nonna  se vedeva che lavava alla funtana  e su sorella  l’aiutava. Er  profumo der bucato, de sapone appena fatto,la cenere pè sbianca era un   rito de bucato, poi la sera da giù  pè la valle se  risaliva ar vicolo dell’archetto e l’asino co li sacchi de le castagne stracco su pe’ la salita rajava, e noi regazzini co le fascine sopra ar capo e le donne più grosse co la coroja in capo, i cesti co  li panni  profumati e tutti  in fila indiana su pe la salita , se ripassava pe la funtana, pe la chiesetta e pe giocà se contaveno tutti li scalini fino a casa. Arivati ar cellaro, se rimetteva l’asino che con un po de biada  e du strijate, se ripagava la giornata e noi tutti  intorno ar foco  e nonna Betta,  per riposasse, filava la folastrocca c’e cantava e ce faceva da mamma. Sembra jeri, eppuro so passati tant’ anni, com’ erano belli quei giorni anche se c’era la guera, c’era un monno vero, pieno de sacrifici, ma ricco de tanta umanità.
Cari amichi pe’ nu’ allungà er bròdo,zompò un po’ d’anni…pe nu’ scoccià!                 

Se riopre er sipario, ma state boni, fate mòsca e battete forte le mano.

Se, svorta pagina dicheno a Roma, la sora Principessa s’è stufata, s’e  proprio stufata. Cari amìchi, ve ricordate er firme ‘Er Marchese der Grillo’ ?  e chi nu’ se lo ricorda. Er burlone der Marchese e poro Gasperino, er carbomaro? Vabbè, già quanno anniedi a vedè er firme, scrissi ‘na lettera ar Marchese che oggi ho ritrovato e diceva cosi:

Caro Marchese der Grillo, quann’ ho visto er firme, me veniva da piagne e da ride, nu’so come ditte.
Quann’ero regazzina, cor dito  in bocca e l’occhi verso er creato,  pieni de speranza, me sentivo ‘na Principessa, er Prencipé azzuro spettavo. Ancora regazzetta er Prencipé trovai, ma questo, fu er primo scherzo der destino, er Principé a cavallo c’annava solo lui, a me, lassava tirà la carrètta cor ciùccio. ‘na vorta  er Princié fece ‘no scherzo un pò pesante,  je fece riccontà a l’amìchi ch’era morto, voleva vedè la reazione  de costoro, dentro de me dissi: "Co’ la vita e co’ la signora morte, nu’ se gioca". Comunque caro Marchese, sti scherzi durareno poco, er Prencipe volò in cèlo co’ tutto er cavallo, lasciannome ‘sta vorta senza corpa nè peccato, co’ du fijetti ancora piccoletti.
Pe’ eredità me lassò sur terazzo du strani arberelli,più li guardavo e più nu’ capivo, che frutti esotici sbocciaveno, ‘na gìrannola colorata, ma quanno finii de riccoje er canestro era pieno, commincia  a vedecce più chiaro. Farfalle colorate protestate, e nu’t’allungo er discorso, ma te dico, che ogni vorta che sonaveno ar portone, er batticore, le cianche me tremaveno, era sempre quer poraccio dell’uffizziale di giustìzia, se sentiva male lui pe me, un giorno se vergognava puro de bussà ar portone, me disse, mettennome ‘na mano sulla spalla: "Coraggio Principé, un giorno finiranno sti fojetti".
Caro Marchese  è vero dopo tant’anni de sacrifici, sti fojetti colorati, ste farfalle svolazzanti so’ finite,e  mattone su mattone un’ reggia da sola, me regalai…continua

…Tantisimi anni so’ trascorsi un giorno nel la  tera de Puglia a ‘na gita, a cerca li fiori Principessa,  ormai settantenne sente er profumo della natura, se sveja e se ritrova seduta su ‘murèllo, l’occhi verso er creato l’arberi belli l’ orchidee er profumo intorno come ‘na un carosello de colori ‘na droga e tutto un botto, je score er firme de la su vita. Passa quarche  tempo e li folletti der bosco de Ceglie l’ajutano e la porteno pe’ mano. Le parole scoreno veloci su li fòji, tutti ‘sti folletti, le fate li gabbiani, le gabbianelle fanno a gara pe’ aiutà ‘sta Principessa vecchiarella e grazzie a loro aritrova la strada smarita pe’ corpa de la guera

                                                            Immagine di franca bassi treatrino portatile

‘sto treatrino lo conòscete già, ma quello che scrivo, lo sto facenno, mò, pe’ voi. Mortìssimi anni addiètro domannài a un dottòre  da levà la ‘timidezza’. Me rispose: "Sora Franca, faccia treatro, reciti, parli co’ tante perzòne,  scriva e lègga a voce arta, l’aiuta." Sgranài l’occhi, presi còre e je rispòsi: "Ma dottò! aripèto: che so’ timida, che so’ tartajòna, che me vergogno, e me ordina da recità? Fòrze nu’ me so spiegata bene? e je aripèto: a Dottò… so’  timidaaaa, e tartajòna…!".Vojo ‘na medicina,  er dottòre co’ ‘na santa pacènza, co’ un risarèllo sur grugno, me aripète la medèma canzòna, "recità…recità, tanto la vita è tutta ‘na giòstra". ‘Gniggiòrno, me giràveno e rigiràveno ner ciarvèllo ‘ste parole, e me dicevo: "Mo, nu’ so solo  timida, ma me sento li fili ner ciarvèllo come se comìnceno a impiccià". Ereno belli, ‘sti fili colorati, e io co’ ‘na pacènza, li tiravo fori da ‘sta scatoletta, co’ delicatezza! piano …piano, uno a uno e con un ago,  je cucevo puro er vestivo, lo giravo pe’ le mani, lo guardavo je trovavo puro li difetti, e dietro a un siparietto le movevo, come le marionette der treatrino; je mettevo puro er nome, er primo  ch’ ariscappà fòra, era er filo,  quello più vicino, e  l’ho chiamato er  "Folletto Buzzichino", e poi quanti  Folletti, le Fate der bosco, li gabbiani, le gabbianelle, ‘na Principessa er Prencipe azzuro, la sora Nina, Romoletto, facevo parlà l’arberi, li fiori, le funtane, e nu’ la vojo fa’ troppo lònga, ma ‘na cosa era vera, me sentivo mejo, piano piano che er bannolo se sistemava, me sentivo proprio mejo, e me ripetevo: "Me sa che er dottòre c’ aveva puro ragione". Còcchi amichi mii, sto scritto è, er prorogo, poi in ‘sta sittimana , ce sarà la seguènza. Gràzzie, pe’ la vostra pacènza, e pe’ le belle parole che me rigalate, ve vojo bè.  

                                       Se apre er sipario.

                                       

  Immagine in rete                             
                                     Se Principià

                              "La sora Franca ciuca"

Co ‘no strillo drento ‘na càmmera de uriòne Prati nel 1938, è nata ‘na fijetta, è nata  "la sora Franca". Passeno du  anni, franca era  troppo ciuca, ‘na cratura, pe’  capì  che  era  quer fuggì… fuggì da Roma bella! C’era la guera. Chi  téla  su li monti, chi téla ne le campagne, chi  ne le grotte, e chi ne li rifuggi, questa era la  còrpa de la  "sora guera".
Franca  crésceva e nu’ intènne epperché dovéva dormì su  un’ ‘na cùccia fatta de canne er lenzolo  fatto de fòje de  granturco. La notte li grilli je cantàveno la ninna nanna. Era tutto un  giucarèllo, ruzzàva  accòsto ar fòsso impastàva la gréta e  zompettàva  co le ranocchie, ma era troppo pupa, pe’ capi  perchè l’omini s’ ammazzaveno.
Ogniggiorno a la  larga giù pe’ la valle de Civita, se  sentìveno li botti da lontano e su nonna la "sora Betta", je sviava er discorso e  je diceva: "Cocca nu’ ave pavura, è tu’ nonno che sta  in celo, che spacca le noci". Poi quanno vedeva che lo  sguardo  se fissàva vèrzo er celo, je riccontàva  de fate, de folletti, der Prèncipe azzuro, je  parlava  de li  fiori e  la prenneva  pe mano e la trascinava pe levaje la pavura e je diceva:"  "Vieni  cocca, guarda come so’ belli st’arberi, senti  l’ erba profumata ?" e lei dietro  sartellanno filice  j’annàva apprèsso e se sentiva  ‘na principéssa der bosco. Quanti inzògni drento  quer bosco de  castagni, sempre co l’occhi a cercà er sole, s’encantava quanno  vedeva l’ucèlli  volà, se sentiva ciuca…ciuca accòsto a quei giganti, quantereno gròssi  qell’arberi  pieni de foje, er celo se védeva a spicchi e li raggi der sole niscòsti giocàveno tra le foje, se sentìva bòna  tramèzzo a la natura bella.
                      

                                                         Se conitnuà …

                                                        Atto sicònno

La sora franca ancora ciuca  seguitava a giocà e su l’arberi de castagno s’arampicava, intorno c’era l’odore de mentuccia, de foije  secche e de  tera de castagni. L’arberi antichi nasconneveno la  casetta de pietra, l’asino ogni tanto annojato rajava e lei contenta  de vive ‘ne sto Paradiso felice lontano da la guera cresceva e  ‘na bella fija se faceva.
Passeno lenti  quell’anni, solo su nonna  se vedeva che lavava alla funtana  e su sorella  l’aiutava. Er  profumo der bucato, de sapone appena fatto,la cenere pè sbianca era un   rito de bucato, poi la sera da giù  pè la valle se  risaliva ar vicolo dell’archetto e l’asino co li sacchi de le castagne stracco su pe’ la salita rajava, e noi regazzini co le fascine sopra ar capo e le donne più grosse co la coroja in capo, i cesti co  li panni  profumati e tutti  in fila indiana su pe la salita , se ripassava pe la funtana, pe la chiesetta e pe giocà se contaveno tutti li scalini fino a casa. Arivati ar cellaro, se rimetteva l’asino che con un po de biada  e du strijate, se ripagava la giornata e noi tutti  intorno ar foco  e nonna Betta,  per riposasse, filava la folastrocca c’e cantava e ce faceva da mamma. Sembra jeri, eppuro so passati tant’ anni, com’ erano belli quei giorni anche se c’era la guera, c’era un monno vero, pieno de sacrifici, ma ricco de tanta umanità.

Cari amichi pe’ nu’ allungà er bròdo,zompò un po’ d’anni…pe nu’ scoccià!                       

Se riopre er sipario, ma state boni, fate mòsca e battete forte le mano.

Se, svorta pagina dicheno a Roma, la sora Principessa s’è stufata, s’e  proprio stufata. Cari amìchi, ve ricordate er firme ‘Er Marchese der Grillo’ ?  e chi nu’ se lo ricorda. Er burlone der Marchese e poro Gasperino, er carbomaro? Vabbè, già quanno anniedi a vedè er firme, scrissi ‘na lettera ar Marchese che oggi ho ritrovato e diceva cosi:

Caro Marchese der Grillo, quann’ ho visto er firme, me veniva da piagne e da ride, nu’so come ditte.
Quann’ero regazzina, cor dito  in bocca e l’occhi verso er creato,  pieni de speranza, me sentivo ‘na Principessa, er Prencipé azzuro spettavo. Ancora regazzetta er Prencipé trovai, ma questo, fu er primo scherzo der destino, er Principé a cavallo c’annava solo lui, a me, lassava tirà la carrètta cor ciùccio. ‘na vorta  er Princié fece ‘no scherzo un pò pesante,  je fece riccontà a l’amìchi ch’era morto, voleva vedè la reazione  de costoro, dentro de me dissi: "Co’ la vita e co’ la signora morte, nu’ se gioca". Comunque caro Marchese, sti scherzi durareno poco, er Prencipe volò in cèlo co’ tutto er cavallo, lasciannome ‘sta vorta senza corpa nè peccato, co’ du fijetti ancora piccoletti.
Pe’ eredità me lassò sur terazzo du strani arberelli,più li guardavo e più nu’ capivo, che frutti esotici sbocciaveno, ‘na gìrannola colorata, ma quanno finii de riccoje er canestro era pieno, commincia  a vedecce più chiaro. Farfalle colorate protestate, e nu’t’allungo er discorso, ma te dico, che ogni vorta che sonaveno ar portone, er batticore, le cianche me tremaveno, era sempre quer poraccio dell’uffizziale di giustìzia, se sentiva male lui pe me, un giorno se vergognava puro de bussà ar portone, me disse, mettennome ‘na mano sulla spalla: "Coraggio Principé, un giorno finiranno sti fojetti".
Caro Marchese  è vero dopo tant’anni de sacrifici, sti fojetti colorati, ste farfalle svolazzanti so’ finite,e  mattone su mattone un’ reggia da sola, me regalai…continua

…Tantisimi anni so’ trascorsi un giorno nel la  tera de Puglia a ‘na gita, a cerca li fiori Principessa,  ormai settantenne sente er profumo della natura, se sveja e se ritrova seduta su ‘murèllo, l’occhi verso er creato l’arberi belli l’ orchidee er profumo intorno come ‘na un carosello de colori ‘na droga e tutto un botto, je score er firme de la su vita. Passa quarche  tempo e li folletti der bosco de Ceglie l’ajutano e la porteno pe’ mano. Le parole scoreno veloci su li fòji, tutti ‘sti folletti, le fate li gabbiani, le gabbianelle fanno a gara pe’ aiutà ‘sta Principessa vecchiarella e grazzie a loro aritrova la strada smarita pe’ corpa de la guera.Franca bassi